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Ludophìlia #50 – La recensione di STOCAZZO

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Ludophìlia (con l’accento così) non è una malattia venerea, ma un’incomprensibile rubrica di approfondimento videoludico che corrobora mente e joypad, curata da uno che l’avrebbe addirittura voluta intitolare “I Love Naomi Kyle”. E invece no, basta col Quebec, amo Jessica Lopez.

Tutto, in STOCAZZO, è arte, pathos e spettacolare meraviglia ludica, esattamente in quest’ordine. STOCAZZO rappresenta l’esaltazione massima dell’azione necessaria alla produzione dello spettacolo. Il risultato è un’opera d’arte videoludica di rara ed eccezionale beltà, in continuo e frastornante movimento, cesellata a mano con maestria e vivissima passione. Posti dinanzi all’evidenza della sua disarmante bellezza esteriore, appare chiaro il motivo per cui STOCAZZO sia indubbiamente purissima esaltazione del videoludere di nuova generazione.

STOCAZZO appaga ogni possibile senso coinvolto, forte dei suoi rocciosi 60 fotogrammi al secondo (a 1080p) e di una maniacalità per i dettagli che ha dell’inaudito. Si tratta di un gioco svergognatamente feticista e oltremodo raffinato, capace di ammaliare i giocatori con texture organiche di sopraffina fattura, per poi avvolgerli inondandoli con tutti quei gorgoglii, le vibrazioni sui grilletti, le perdite di grip e le corrette aderenze viscose trasmesse. Per non parlare poi dei mille piccoli tocchi di classe, come le mani che si assestano su stocazzo e dopo un po’ ricercano l’impugnatura ottimale. La nuova fisica e l’handling di STOCAZZO non vengono affatto mortificati dalla periferica standard ma, anzi, sembrano quasi maliziosamente calibrati per ben figurare con ogni sistema di controllo. I calli maturati sulle croci direzionali dei vecchi controller, per di più, trovano adesso la confortevole precisione e la rigenerante morbidezza del nuovo “pad analogico”, per un sistema di controllo cremoso e avido di dedizione, che dà confidenza in due minuti, ma si concede davvero solo ai giocatori più audaci.

Lui, proprio.

Esso.

L’appagamento restituito da STOCAZZO, a conti fatti, non è di stampo puramente “platformiano”, sebbene le meccaniche del salto funzionino alla perfezione e surclassino di svariate lunghezze quelle dei suoi diretti concorrenti. È qualcosa che va ben oltre, che appartiene all’ordine dell’immaginifico. Infilando le mani in STOCAZZO, mettendole proprio all’interno del gioco, si stabilisce un senso di connessione che ha davvero del prodigioso e trascende il semplice divertimento alle prese con un marchingegno sofisticato. L’altissima soglia di divertimento che STOCAZZO restituisce è totalmente imputabile a un gameplay sopraffino e coinvolgente, che mette a proprio agio i casual gamer più impacciati e premia gli smaliziati di lungo corso. I motivi sonori che accompagnano le gesta eroiche di STOCAZZO, caratterizzati da un groove sempre coinvolgente, vanno ascritti di diritto nella categoria “tormentoni”: canticchiarli anche a console spenta è sintomo della loro semplice e geniale efficacia.

STOCAZZO, insomma, surclassa i precedenti episodi per bontà grafica, modalità di gioco e più che elevata longevità. STOCAZZO è una piccola gemma autenticamente innovativa, un gioco pieno di genio e tocchi di classe, che trascende ogni classificazione di genere, visto che a modo suo ne crea uno tutto nuovo. Non è affatto un grosso editor tenuto in piedi da porzioni di gameplay, ma una soave esperienza interattiva da giocare, manipolare ed esplorare completamente ammirati.

Strabuzzerete gli occhi, tratterrete il respiro più e più volte, finirete a testa in giù, ansimerete sudando copiosamente, poi toccherete le stelle e precipiterete fin dentro le ribollenti profondità della fregna. E frechete.

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